Mozione: Contrasto all’obesità infantile

Mozione: Contrasto all’obesità infantile

Approvata nella seduta del 6 dicembre scorso alla Camera una mozione sul contrasto dell’obesità infantile, malattia sempre più diffusa in Italia ed in Europa.

Ecco il testo della mozione:

La Camera, 
   premesso che: 
    l’obesità infantile è un problema di notevole rilevanza sociale che in Italia colpisce un bambino su quattro ed è il risultato di un bilancio energetico positivo protratto nel tempo causato dall’ingestione di più calorie di quante se ne consumino; 
    secondo i dati dell’Istituto superiore della sanità, l’Italia detiene il triste primato europeo del numero di bambini sovrappeso o obesi e secondo il recente rapporto dell’osservatorio del dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell’Università Milano Bicocca, un bambino su 4 è sovrappeso e uno su 10 è obeso. In Italia la prevalenza di sovrappeso in età pediatrica supera di circa 3 punti percentuali la media europea, con un tasso di crescita/annua dello 0,5-1 per cento, pari a quella degli Stati Uniti; 
    la definizione di sovrappeso e di obesità infantile è più complessa rispetto all’adulto, il cui peso ideale è calcolato in base al bmi (body mass index o indice di massa corporea) che è uguale al peso in chilogrammi diviso l’altezza in metri elevata al quadrato (Confalone, 2002); 
    pur avendo basso errore di osservazione, basso errore di misurazione, buona affidabilità e validità, il body mass index non può essere una misura sensibile dell’obesità in persone molto alte e basse ed in persone che hanno insolite composizioni di massa magra e massa grassa (Sardina, 1999); 
    un comitato competente, convenuto nell’International obesity task force nel 1999, ha determinato che – sebbene il body mass index non fosse una misura ideale – era comunque il più valido tra tutte le formule che calcolano l’adiposità in un individuo e perciò poteva essere usato per definire il sovrappeso e l’obesità in bambini ed adolescenti (Bellizzi, 1999); 
    in base a queste conclusioni, l’Organizzazione mondiale della sanità, per definire sovrappeso ed obeso un bambino, utilizza i «punti» di body mass index realizzati da uno studio di Cole nel 2000 e sviluppati usando diversi dati mondiali, che rappresentano, perciò, una referenza internazionale che può essere usata per comparare le diverse popolazioni mondiali; 
    il Ministero della salute definisce obeso un bambino il cui peso supera del 20 per cento quello ideale e in sovrappeso se lo supera del 10-20 per cento; in alternativa, lo definisce tale quando il suo body mass index è maggiore del previsto; 
    la crescita ponderale del bambino viene calcolata facendo riferimento alle tabelle dei percentili, grafici che riuniscono i valori percentuali di peso e altezza dei bambini, distinti per sesso ed età (Confalone, 2002) e che, secondo recenti studi effettuati nel 2000 dal Nchs (Centro nazionale di statistiche per la salute statunitense), la crescita è nella norma se si pone intorno al 50o percentile, mentre, coll’allontanamento dal valore medio, aumenta il rischio di obesità: dall’85oal 95o percentile il bambino viene definito sovrappeso, mentre dal 95o percentile viene definito obeso (Kuczmarski, 2000); 
    diversi ed autorevoli esponenti del mondo scientifico, come il professor Franco Berrino, già direttore di dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto nazionale dei minori di Milano e direttore scientifico del mensile Vita&Salute, dichiarano che: «Gli alimenti ad alta densità calorica sono quelli che contengono molto grasso e zucchero. Questi alimenti, come merendine, biscotti da colazione, fiocchi di cereali zuccherati, e così anche le bevande zuccherate, fanno ingrassare e alterano il nostro ambiente endocrino facendo aumentare l’insulina. Queste alterazioni alla lunga fanno aumentare il rischio di ammalarsi di tumore e di varie altre malattie croniche che affliggono le popolazioni ricche»; 
    l’obesità infantile preoccupa in quanto i bambini obesi hanno maggiori possibilità di divenire adulti obesi e, di conseguenza, di avere un maggior rischio di sviluppare una serie di condizioni patologiche, quali i tumori (in particolare al seno, al corpo dell’utero e al colon-retto), diverse patologie croniche come le malattie cardiovascolari (ischemie, l’ictus), l’ipertensione arteriosa, il diabete tipo 2, problemi muscolo-scheletrici e respiratori; 
    oltre a quanto riportato nel capoverso precedente, i bambini obesi sperimentano peggiori condizioni di salute mentale e fisica; infatti, sono comuni tra loro i problemi respiratori, l’ipertensione, la resistenza all’insulina e problemi osteo-articolari; 
    l’obesità comporta elevati costi per la società: costi diretti, costituiti dalle risorse spese per la diagnosi ed il trattamento dell’obesità in se stessa e delle patologie ad esso correlate, e costi indiretti, dovuti alla perdita di produttività causata dalle maggiori assenze dal lavoro delle persone obese e dalla loro morte prematura (Organizzazione mondiale della sanità 2000; Yach et al. 2006; Hu 2008); 
    secondo le ultime stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, circa il 7 per cento del budget sanitario dei Paesi europei viene speso per malattie legate all’obesità (EU action plan on childhood obesity 2014-2020); 
    fino a due o trecento anni fa lo zucchero non faceva parte dell’alimentazione abituale dell’uomo, bensì faceva parte delle preziose spezie importate dall’oriente, dove cresceva la canna da zucchero che i mercanti veneziani vendevano a caro prezzo, soprattutto per scopi medici, o appannaggio solo delle classi più abbienti; 
    ci furono tentativi di coltivare la canna da zucchero anche in Europa, in particolare in Sicilia e a Madeira, ma non ebbero successo mentre la canna cresceva bene nelle terre del nuovo mondo e subito si prospettarono grandi potenzialità commerciali, a spese però delle popolazioni indigene soggiogate per la sua coltivazione o importando schiavi dall’Africa; 
    solo in epoca napoleonica, grazie alla coltivazione della barbabietola da zucchero, coltivabile alle nostre latitudini, si svilupparono gli zuccherifici in Europa, comportando la progressiva diminuzione dei prezzi dello zucchero che divenne alimento di tutti e di tutti i giorni, ma che fu la nemesi della schiavitù nei confronti dello stesso; 
    negli anni ‘50, grazie alle «bevande di fantasia» e agli altri beni di consumo provenienti dagli Usa, lo zucchero divenne simbolo di modernità e di emancipazione, conquistando l’immaginario giovanile e parte delle loro abitudini alimentari; 
    le bevande zuccherate prima di allora venivano consumate saltuariamente (la gassosa che gli operai mescolavano al vino o alla birra, l’aranciata consumata solamente in occasione delle feste o delle vacanze), ma è stato dopo l’avvento della Coca-Cola e dei suoi distributori automatici che venne segnato il passaggio da un consumo eccezionale al consumo quotidiano e di massa; 
    oggigiorno è acclarato come il consumo incontrollato delle «bevande di fantasia zuccherate» sia una delle cause principali dell’obesità infantile e dell’età adulta, mentre fino a pochi decenni fa il mondo scientifico ancora dibatteva per la mancanza di prove scientifiche decisive, visto che i grandi studi che indagavano sul consumo alimentare, intervistando un campione della popolazione, riscontravano generalmente che le persone sovrappeso mangiassero meno zucchero delle magre, dimentichi del fatto che questi soggetti tendano a rispondere ai questionari alimentari dichiarando quello che dovrebbero mangiare, piuttosto di quello che mangiano effettivamente; 
    solo grazie ad uno studio pubblicato nel 2001 venne dimostrato che la prima causa di obesità dei bambini americani è il consumo abituale di bevande gassate e zuccherate, mentre altri studi confermarono le osservazioni anche negli adulti ed evidenziarono inoltre come causa importante di obesità è la frequentazione dei fast-food; 
    l’Organizzazione mondiale della sanità ha diffuso la raccomandazione di contenere il consumo di zucchero entro il 10 per cento delle calorie totali (circa 50 grammi di zucchero al giorno per un uomo che consumi 2.000-2.500 calorie), mentre i nuovi larn (le raccomandazioni italiane) raccomandano di contenere il consumo di zuccheri semplici, siano essi naturalmente presenti negli alimenti, come in frutta, latte, siano essi aggiunti, nell’ambito del 15 per cento del fabbisogno, specificando, però, che un consumo «potenzialmente legato a eventi avversi» riguarda valori superiori al 25 per cento del fabbisogno; 
    da agenzie stampa di aprile 2014, la stessa Organizzazione mondiale della sanità, presso la conferenza Onu di Ginevra, ha rivisto al ribasso la percentuale di consumo di zucchero dal 10 per cento al 5 per cento del totale delle calorie assunte quotidianamente, a seguito di una consultazione popolare promossa «in rete», e tale raccomandazione non esonera le aziende produttrici di alimenti, che sarebbero costrette così a commercializzare prodotti privati di una buona parte della sostanza gradevole per il palato; 
    le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità sono state fortemente osteggiate dalle grandi corporation alimentari, insinuando che fossero addotte senza prove scientifiche e che lo stesso Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, nel corso della presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea recentemente trascorsa e prima della sua partecipazione alla seconda conferenza internazionale sulla nutrizione organizzata dalla Fao, dall’Organizzazione mondiale della sanità e con la partecipazione di 190 Paesi, dichiarava: «No a diktat senza base scientifica. È un’aggressione alle nostre tradizioni dolciarie. Poi però viene ammessa l’invasione di biscotti, barrette e cose simili con aspartame (un edulcorante artificiale)»; 
    il 4 novembre 2014 presso Palazzo Chigi diversi produttori del settore alimentare hanno incontrato il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ed il Ministro Lorenzin; durante tale riunione si è discusso anche di zucchero ed è stato affermato che «è un falso pretesto quello di porre un freno al dilagare dell’obesità, diabete e malattie cardiovascolari attraverso azioni del genere, che penalizzano i marchi italiani. Non si risolve nulla, ci vogliono iniziative di altro tenore» e tra queste ultime l’educazione alimentare a partire dalla scuola, alla scelta corretta dei cibi (freschi anziché confezionati), alla promozione dell’attività fisica, al sostegno della dieta mediterranea; 
    i limiti proposti dall’Organizzazione mondiale della sanità corrispondono a 10-12 cucchiaini al giorno di zucchero successivamente ridotto ad un massimo di 5-6, il che comporta il superamento di tali valori anche a seguito del consumo di pochi millilitri di bevande di fantasia al giorno; 
    il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro dichiara che «limitare il consumo di cibi ad alta densità calorica ed evitare il consumo di bevande zuccherate» è la prima raccomandazione alimentare a cui è giunto il comitato di esperti dopo aver esaminato tutti gli studi scientifici su dieta e cancro; 
    lo zucchero è presente in molti alimenti di consumo dove normalmente il consumatore generico non penserebbe di trovarlo, ad esempio in diversi prodotti in scatola, nei sughi pronti, nella maionese, nelle fette biscottate, nel pane, nello yogurt, nei succhi di frutta, e altro e probabilmente è utilizzato come edulcorante per camuffare il gusto di alimenti di qualità scadente che altrimenti sarebbero sgradevoli; 
    è acclarato che una riduzione degli zuccheri significherebbe, quindi, non solo migliorare la nostra salute, ma anche contribuire indirettamente ad offrire alimenti di maggior qualità, con particolare riguardo ai più giovani verso un futuro più sano quando saranno adulti e di ridurre significativamente la spesa sanitaria legata ai fenomeni dell’obesità; 
    diverse grandi aziende stanno sostituendo lo zucchero con gli edulcoranti, sostanze chimiche che possiedono un alto potere dolcificante e le molecole che li compongono non appartengono alla famiglia degli zuccheri. A causa del loro potere altamente dolcificante vengono anche designati con l’aggettivo di intensi, in quanto possiedono un potere edulcorante molto più pronunciato rispetto a quello dello zucchero; 
    come riportato dagli organi di stampa, in Inghilterra il Public health England, ramo del Ministero della salute britannico, ha lanciato una nuova campagna per il cambiamento delle abitudini alimentari dei bambini in merito al consumo di zucchero, seguendo alcuni semplici consigli e coinvolgendo i genitori ad aiutare i propri figli a dimezzare l’apporto quotidiano di zuccheri semplici; 
    dall’iniziativa «Change4Life», a seguito di un sondaggio on line condotto da Netmums (un portale di genitori), emerge che circa la metà (il 47 per cento) delle mamme intervistate si è detta preoccupata per gli zuccheri assunti dai figli, e un numero superiore (il 67 per cento) ha affermato che siano comunque troppi e che dalle risposte di quasi 700 madri di bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni è risultato che i due terzi di esse non sanno quante sono le calorie medie consigliate ogni giorno e ignorano la differenza delle necessità caloriche tra maschi e femmine; 
    è la mancanza della consapevolezza di cui al capoverso precedente che determina i valori antropometrici dei bambini che sono sotto gli occhi di tutti: secondo le ultime statistiche un bambino su cinque tra 1 e 5 anni e uno su 3 tra i 10 e gli 11 anni è in sovrappeso od obeso; inoltre, tra i 5 e i 9 anni la prima causa di visita in pronto soccorso è per il dolore associato a una carie; 28 per cento dei bambini di cinque anni ha una carie e, di questi uno su quattro ne ha più di cinque; 
    un report statunitense, ove l’obesità è un problema molto serio, evidenzia che le calorie assunte tramite bevande ammontano a circa il 19 per cento delle calorie totali giornaliere, vale a dire circa 400-600 calorie al giorno in una dieta rispettivamente di 2.000 e 3.000 calorie, di queste una fonte importante è rappresentata dalle bevande zuccherate di fantasia (circa 150 calorie die o più a seconda degli studi pubblicati), mentre una parte minore è rappresentato dal latte o bevande a base di latte e succhi di frutta al 100 per cento; 
    secondo le raccomandazioni più diffuse, peraltro giudicate troppo permissive, i bambini dovrebbero assumere circa il 10 per cento delle calorie dagli zuccheri, ma tra i 4 e i 10 anni i piccoli britannici ricavano da dolciumi e bibite più del 50 per cento, in media così suddivise: 17 per cento, da bevande dolci, 17 per cento da dolci, biscotti, merendine e torte alla frutta, 14 per cento da caramelle, 13 per cento da succhi di frutta, 8 per cento da cereali da colazione; 
    il progetto «Change4Life», volto a modificare le abitudini, è basato su semplici consigli che ogni genitore può fare propri, tra i quali: sostituire i cereali per la colazione zuccherati con quelli privi di zuccheri aggiunti, meglio se integrali; sostituire le bevande zuccherate con acqua, latte scremato, bibite prive di zuccheri; sostituire le merendine industriali con torte fatte in casa, frutta, verdure crude o frutta secca; sostituire il gelato con yogurt o frutta; 
    gli unici zuccheri semplici desiderabili sono quelli contenuti nella frutta o in altri prodotti naturali, mentre gli zuccheri complessi o carboidrati, come l’amido di pasta, riso, pane, legumi e altro, devono essere presenti in abbondanza nella dieta sino a coprire una quota del 55/75 per cento (di cui zuccheri semplici meno del 10 per cento) delle calorie giornaliere; 
    la sponsorizzazione della campagna di cui al capoverso precedente (lanciata il 5 gennaio 2015) pone la questione che le aziende coinvolte sono le stesse che dovrebbero rinunciare a una parte del profitto in seguito al calo di vendite, tra queste: Asda, Tesco, Co-op, Aldi, Coca-Cola (Diet Coke e Coke Zero), Morrisons, mySupermarket e Lead Association for catering in education (Laca); 
    è opinione dei firmatari del presente atto di indirizzo che le campagne di promozione di una corretta alimentazione siano credibili ed efficaci solo se promosse dall’autorità sanitaria pubblica, quindi finanziata con denaro al di sopra di ogni sospetto; 
    rimane comunque il concetto che l’approccio educazionale, secondo molti esperti, è fondamentale per ottenere risultati concreti e duraturi perché solo la consapevolezza può spingere i consumatori a fare scelte razionali ogni giorno, respingendo l’assalto del marketing della malnutrizione; 
    diversi studi e ricerche di settore hanno evidenziato come molti produttori preparino i loro alimenti/bevande al pari di veri e propri irresistibili cocktail, che ossia abbiano quel mix ideale di componenti per raggiungere il «bliss point» (il punto di massima «beatitudine» o piacere) e che vengano consumati in grande quantità, in particolare dai ragazzi, visto che è dimostrato come lo zucchero sia in grado di stimolare le stesse aree del cervello che sono stimolate dalla cocaina; 
    gli alimenti altamente processati dell’industria alimentare sono progettati per ingannare i meccanismi biologici che stanno alla base della nostra fame/sazietà e sono quindi parte integrante dell’ambiente «obesogeno», che ha causato l’esplosione dell’obesità nel mondo; 
    molti alimenti indirizzati dal mercato alla colazione o merenda dei ragazzi sono spesso accompagnati da «regalini», «sorpresine» e, più in generale, da una serie di gadget che non hanno nulla a che vedere con la qualità dell’alimento, ma che di fatto finiscono per condizionare molto le scelte dei ragazzi e delle famiglie, mentre non è altrettanto facile accostare la frutta ed alimenti affini a gadgetistica, sfavorendo l’alimento di qualità rispetto a quello meno indicato per una sana alimentazione; 
    i grassi saturi, oltre allo zucchero, risultano essere tra i maggiori indiziati dell’obesità infantile. Tra di essi, l’olio di palma, la cui composizione risulta essere, per percentuale di grassi saturi contenuti, simile a quella del burro e del lardo. Al contrario, infatti, di altri oli vegetali (olio d’oliva, olio di semi), quelli tropicali contengono un’elevata percentuale di acidi grassi saturi (92 per cento nell’olio di cocco, 82 per cento nell’olio di palmisto e 49 per cento in quello di palma), prerogativa che conferisce all’olio consistenza solida o semi-solida a temperatura ambiente, ma che solleva non pochi dubbi sui rischi per la salute umana legati alla sua assunzione; 
    è risaputo che gli acidi grassi trans (TFA), insieme a quelli saturi, rappresentano un fattore di rischio per la popolazione, soprattutto infantile. Gli acidi grassi trans sono grassi insaturi presenti negli alimenti ottenuti da ruminanti e negli oli vegetali parzialmente idrogenati utilizzati nei biscotti, nelle torte, nei popcorn, nei cracker, nelle margarine e in molti altri prodotti da supermercato. Tutti cibi, insomma, che vengono mangiati principalmente dai bambini. Il loro consumo è stato associato a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari. L’elevata assunzione di TFA rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di cardiopatie coronariche che, secondo le stime della Commissione europea, causano ogni anno circa 660.000 decessi nell’Unione europea, ossia circa il 14 per cento della mortalità complessiva; 
    l’olio di palma sembrerebbe inoltre collegato, da diversi studi scientifici, a molteplici fattori di rischio sanitario: uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità (1 Diet Nutrition and the Prevention of Chronic Diseases (Report), World Health Organization, 2003, p. 82,88, retrieved 13 febbraio 2013), dimostra come i principali acidi grassi (come acidi grassi saturi, l’acido miristico e l’acido palmitico) comportino un aumento del livello di colesterolo nel sangue, favorendo malattie cardiovascolari; uno studio del Center for Science in the Public Interest (CSPI) (Palm oil threathening endangered species (PDF), Center for Science in the Public Interest, maggio 2005. Vessby, B. 1994. INFORM 5(2): pages 182-185.) conferma il fatto che l’olio di palma aumenti i fattori di rischio cardiovascolare, poiché l’acido palmitico è uno dei grassi saturi che più aumenta il rischio di coronaropatie; recenti studi (http://link.springer.com/article/10.1023/A:1008089715153), che dimostrano che l’acido palmitico infiamma le membrane cellulari, induce l’aterosclerosi e ha un ruolo chiave nella produzione di un fattore necrotico che è all’origine di tumori; uno studio dell’American Heart Association che consiglia di limitarne l’uso per le persone che devono ridurre il livello di colesterolo. Molto importate, infine, il recentissimo studio dell’EFSA (https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/160503a) in cui viene denunciato come nell’olio di palma siano contenute tre sostanze tossiche: glicidil esteri degli acidi grassi (GE), 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), e 2-monocloropropandiolo (2-MCPD) e relativi esteri degli acidi grassi, una delle quali genotossica e cancerogena, il glicidiolo (GE), formatesi durante la raffinazione degli oli vegetali; 
    i bambini italiani, con il loro alto consumo di carni (soprattutto lavorate) e dunque di grassi saturi, alimenti di origine industriale e dolciumi, risultano ai primi posti in Europa per obesità, con il 20,9 per cento di bambini in sovrappeso e il 9,8 per cento obesi. Secondo il professor Franco Berrino sono proprio le proteine ad essere uno dei principali fattori di esposizione al rischio di obesità, insieme al consumo di dolciumi, cibo «spazzatura» e bevande zuccherate. L’indagine «La salute digestiva pediatrica in Europa» elaborata dalla United European Gastroenterology ha rilevato nei bambini europei un alto consumo di grassi saturi e trans, di zucchero e sale e un basso consumo di frutta, verdura e cereali integrali. Secondo i ricercatori dello United European Gastroenterology, l’obesità è un fattore di rischio per patologie epatiche, sempre più comuni nei bambini. La steopatite non alcolica è una di queste e colpisce, stando alle stime, il 10 per cento dei bambini europei diventando la causa di malattia epatica cronica più comune nei bambini e negli adolescenti. Patologie infantili in continuo aumento, che potrebbero essere prevenute attraverso il consumo di alimenti a base prevalentemente vegetale ed una corretta educazione alimentare,
impegna il Governo:
1) a promuovere una campagna di sensibilizzazione per mezzo di specifici spot sui principali organi di stampa e/o con pubblicità progresso in tv per indicare i valori di una sana alimentazione, ossia di un’alimentazione che fornisca in abbondanza tutto quello di cui si ha bisogno ma al contempo riduca le calorie, con minor presenza di grassi e zuccheri, con l’obiettivo di evitare che la piaga dell’obesità si estenda in modo irreversibile; 
2) a chiedere ai grandi produttori di alimenti per la colazione e merenda di collaborare alla significativa riduzione della quota di zucchero saccarosio fruttosio e sciroppo di glucosio e fruttosio contenuto negli alimenti messi in commercio, ridimensionando l’utilizzo di farine e cereali raffinati, oltre che di grassi saturi; 
3) ad intervenire, anche assumendo iniziative a livello normativo, per porre dei limiti all’utilizzo di zucchero (saccarosio, fruttosio e sciroppo di glucosio e fruttosio) contenuto negli alimenti messi in commercio nel territorio italiano; 
4) ad assumere iniziative normative affinché nelle confezioni dei prodotti destinati ai più giovani e nelle bevande zuccherate siano riportate etichette o scritte che indichino il rischio di obesità associato al consumo squilibrato dello zucchero (saccarosio, fruttosio e sciroppo di glucosio e fruttosio) in esso contenute; 
5) ad assumere iniziative normative per limitare l’associazione di gadget agli alimenti per colazione e merende chiaramente riservate ai più piccoli; 
6) a dare piena ed esaustiva applicazione al regolamento (UE) n. 1169/2011 al fine di garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sugli alimenti che consumano; 
7) ad intraprendere iniziative di carattere informativo, oltre che normative, volte a disincentivare presso i produttori l’utilizzo dell’olio di palma o palmisto come ingrediente nelle preparazioni alimentari, in vista di una sostituzione con oli che non siano nocivi per la salute e per l’ambiente e che incentivino altresì le economie nazionali e i settori agricoli interessati (olio di semi di girasole, olio d’oliva, e altro); 
8) a sostenere e a promuovere presso le competenti sedi unionali proposte normative finalizzate a eliminare a lungo termine i TFA (trans fats) dalla filiera alimentare dell’Unione europea, tramite l’introduzione di un’etichettatura obbligatoria relativa al contenuto di TFA o tramite un limite giuridico imposto sul contenuto dei TFA industriali in tutti i prodotti alimentari; 
9) a sostenere e a incoraggiare, presso le scuole e gli istituti di formazione, nell’ambito della sfera di propria competenza, progetti didattici legati all’educazione alimentare, intesa come conoscenza dei prodotti, delle etichette, della provenienza degli alimenti, della pericolosità del cibo e delle bevande con scarso apporto nutrizionale, del corretto consumo, del contrasto allo spreco, dello stile di vita attivo, nonché dell’importanza dei prodotti tipici, biologici, a «chilometro zero» e «chilometro utile», per accrescere negli studenti il senso di responsabilità sociale, verso la propria salute e l’ambiente, nonché il rispetto della biodiversità, in quanto conoscenze imprescindibili; 
10) ad assumere iniziative per garantire, in tutte le mense pubbliche o convenzionate – la cui gestione ricade nelle competenze dello Stato, comprese quelle scolastiche – un’adeguata alternativa di menù privi di alimenti di origine animale, al fine di tutelare coloro i quali assumono questa scelta alimentare e potrebbero essere esclusi dalla fruizione del servizio pubblico; 
11) ad adottare iniziative per incentivare, nei bandi di gara per gli appalti pubblici di servizi e forniture di prodotti destinati alla ristorazione collettiva, l’utilizzo dei prodotti agroalimentari e agroalimentari ecologici, provenienti, ove possibile, da filiera corta a «chilometro utile». 
(1-00744) 
(Ulteriore nuova formulazione) «Massimiliano Bernini, L’Abbate, Gagnarli, Gallinella, Parentela, Benedetti, Mantero, Silvia Giordano, Grillo, Cariello, Cristian Iannuzzi, Busto».


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