Jobs Act!

Jobs Act!

Il Job Acts ha superato non senza discussioni, aspre critiche e dibattiti interni l’esame della Camera dei Deputati. Adesso la battaglia continuerà al Senato ed è immaginabile ipotizzare che polemiche e discussioni continueranno. Arrivati a questo punto del provvedimento, con le modifiche che comunque sono state apportate, grazie al contributo di tutti, è doveroso fare chiarezza sui contenuti della riforma, provando a ragionare su molti aspetti positivi in essa contenuti. Mettendo da parte le posizioni ideologiche e demagogiche occorre precisare che gli obiettivi che la legge delega si è posta sono piuttosto ambiziosi: rafforzare i diritti nel lavoro, distinguere le tutele per chi perde il lavoro e sostenerlo nella ricerca di una nuova occupazione, rendere più efficiente il mercato del lavoro.
Per realizzare questi obiettivi il Governo ha individuato alcuni assi principali di intervento pienamente condivisibili: l’estensione degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro o in caso di disoccupazione; il potenziamento delle politiche attive del lavoro, uno dei punti di maggiore debolezza del nostro sistema; l’integrazione di questo con le politiche passive che richiamavo; la revisione e la semplificazione normativa per tutto ciò che attiene alla costruzione e alla gestione dei rapporti di lavoro, superando la stratificazione normativa e burocratica che caratterizza questo settore; la lotta alla precarietà attraverso il disboscamento delle tipologie contrattuali e il superamento in particolare di quelle più precarizzanti; la riaffermazione importante della centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato, che si vuole più vantaggioso, la costruzione di un canale di accesso, in particolare per i nuovi assunti, con un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro
Il progetto del Governo è sostanzialmente quello di combattere la precarietà, decomponendo un mercato del lavoro troppo frammentato e promuovendo la stabilità fin dall’inizio attraverso una forma contrattuale più qualificata, il contratto a tutele crescenti che favorisca il reciproco e crescente affidamento tra impresa e lavoratore. Questa è la filosofia innovativa contenuta nella delega. Questi obiettivi erano contenuti fin dall’inizio, ma il lavoro parlamentare, prima al Senato e ora alla Camera, li ha certamente migliorati e irrobustiti.
Credo sia utile riflettere su come è cambiata la delega, su qual è il segno politico che il cambiamento ha impresso nel provvedimento: mancava la tutela economica in caso di cambiamento di mansioni, ora c’è; non era esplicitamente affermata la scelta di rendere centrale il contratto di lavoro a tempo indeterminato, rendendolo più conveniente rispetto ad altri tipi di contratto, ora c’è e c’è a tal punto che nella legge di stabilità le risorse sono proprio destinate ad incentivare il lavoro stabile; non era così chiaramente definito il superamento delle numerose forme di assunzione precarie, che stanno così ampiamente segnando il mondo del lavoro non più solo dei giovanissimi, ora c’è; è stato chiarito che la disciplina dei controlli a distanza riguarda gli impianti e gli strumenti di lavoro, con la garanzia che la dignità e la riservatezza del lavoro siano tutelate; mancava la garanzia del reintegro in caso di licenziamenti discriminatori, nulli e disciplinari per i nuovi assunti, ora c’è; sono previsti congedi dedicati alle donne nei percorsi di protezione relativi alla violenza ed infine il sostegno alla genitorialità è stato sostituito con «sostegno alle cure parentali», una formula più larga, più innovativa, che guarda avanti, che non si ferma ad un concetto chiuso di genitorialità.
Fin dall’inizio hanno convissuto nel job acts due filosofie opposte, stante la maggioranza particolare che sostiene il governo: la nostra e quella destra. Vanno intestate al Pd tutte le parti relative all’estensione degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro, il disboscamento delle tipologie contrattuali e il rafforzamento del contratto a tempo indeterminato, le politiche di conciliazione. Abbiamo senz’altro qualificato i punti di forza del provvedimento laddove si sostanziano i diritti dentro e fuori il rapporto di lavoro e laddove si combatte la precarietà. Sono tutti provvedimenti che hanno il segno del riformismo e hanno il segno del Partito Democratico. Pur facendo parte della cosiddetta “minoranza” del PD rivendico con orgoglio l’azione politica del PD che nell’espletamento del lavoro parlamentare ha eseguito egregiamente il suo lavoro. Come ha più volte ricordato il collega Cesare Damiano, nonostante i tempi brevi, il dibattito sul provvedimento non è stato sacrificato. Non sono stati contingentati i tempi, c’è stata un’ampia espressione di pareri, anche differenti, è non c’è stato il tanto evocato ricorso alla “fiducia”.
Ci siamo impegnati a correggere i rischi di cedimento e le possibili contraddizioni che alcuni dispositivi pure contenevano: demansionamento, controlli a distanza, voucher, l’idea di andare ad abolire l’articolo 18. Su questi punti si vedeva di più la mano del centrodestra e noi abbiamo corretto. Erano in quota Ncd il demansionamento senza vincoli e i controlli a distanza sulle persone, la liberalizzazione dei voucher e la cancellazione l’art. 18. Ebbene, come si può ben vedere dai testi, tutte le modifiche che sono state introdotte alla Camera, e prima al Senato, hanno rafforzato i nostri punti e cancellato o ridimensionato quelli della destra.
Pensare di accrescere la competitività delle imprese svalutando i diritti dei lavoratori è non solo di destra, ma sbagliato, perché è per quella via che abbiamo perso competitività e produttività in questo Paese negli ultimi anni. Pensare di poter demansionare unilateralmente, senza vincoli, un lavoratore o di controllarlo con telecamere significa avere in testa un’idea di produttività che ricorda il Charlie Chaplin dei «Tempi moderni». È un’idea vecchia, non solo odiosa, ma fallimentare. Noi crediamo all’opposto nell’autonomia, nella professionalità che nasce nella formazione, nella responsabilità che nasce nella partecipazione e nella stabilità. Per questa ragione abbiamo corretto la delega sia alla Camera che al Senato su questi punti.
Venendo alla fatidica e forse più mediatica questione dell’art. 18, ritengo sia stato un errore mettere al centro questa discussione che ha occultato quanto di buono è presente in questa delega.
Purtroppo è in corso un dibattito ideologico sbagliato che allontana dai fatti e dai testi. Questo scontro non nasce però solo dall’articolo 18; c’è la condizione materiale di milioni di persone che è progressivamente peggiorata in questi sei anni di crisi durissima. Strati crescenti della popolazione che guardano con angoscia e sfiducia al futuro. Non vedere questo, anzitutto questo nelle piazze, negli scioperi, nella protesta sarebbe grave e pericoloso perché dopo la pur difficile rappresentanza collettiva del disagio viene la rabbia e la ricerca di soluzioni individuali. E per queste ragioni non coltivare il dialogo sociale sarebbe un errore. Quando c’è accordo sul merito è importante discutere; quando non c’è accordo, diventa determinante. Dialogo e rispetto sono tanto più necessari quanto più la distanza tra le posizioni cresce. E il compito di chi governa, sempre, ma soprattutto nella tempesta, è unire. E se c’è un incendio, io credo che sia quello di tirare una secchiata d’acqua perché a tirare una secchiata di benzina un irresponsabile lo si trova sempre. La rappresentanza, tutta la rappresentanza, quella politica e quella sociale, è sicuramente in crisi nel nostro Paese e non solo. Giocare alla reciproca delegittimazione tra le parti è il peggiore errore che le rappresentanze possano compiere nella difficoltà. Questo è il tempo in cui bisogna ricomporre, tendere una mano, riaprire spazi di confronto, non piantare bandierine. Occorre riaprire uno spazio di dialogo su un terreno più avanzato, nel rispetto di tutti, ma consapevoli che spetta sempre alla politica compiere il primo passo. In Parlamento questo è stato fatto e io credo che il Governo debba considerare tutto ciò davvero un punto di partenza. C’è una ripartenza necessaria anche nella scrittura dei decreti delegati, sui quali oltre a vigilare abbiamo intenzione di dire la nostra. Perché la vera riforma del lavoro sarà quella contenuta nei decreti attuativi. In quella sede il Governo dovrà dimostrare di aver accolto pienamente le istanze del parlamento e noi ci adopereremo affinché vada in porto nei tempi previsti.
Il Partito Democratico si è assunto la responsabilità di provare a stare in questo percorso, sapendo che proprio sulla questione del lavoro la sinistra è stata segnata nel corso della storia da lunghe e laceranti divisioni tra diverse strategie, ma anche che è proprio dal lavoro che il nostro Paese può e deve ripartire.

Marilena Fabbri

Scarica il testo che andrà in discussione al Senato: Jobs Act

Gli emendamenti accolti in Commissione Lavoro alla Camera: Emendamenti al Jobs Act

Scarica il Dossier di approfondimento: Dossier JobsAct


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