Fallimento, la normativa da rivedere per ridare fiducia!

http://www.marilenafabbri.it/wp-content/uploads/2016/06/DSC_06721.jpghttp://www.marilenafabbri.it/wp-content/uploads/2016/06/DSC_06721.jpghttp://www.marilenafabbri.it/wp-content/uploads/2016/06/DSC_06721.jpgFallimento, la normativa da rivedere per ridare fiducia!

Il 20 maggio u.s. ho partecipato ad un convegno, in collaborazione con la John Cabot University, la maggiore Università Americana in Italia, dal titolo “SBAGLIANDO… SI IMPARA – Un confronto Italia-USA sul tema del fallimento: opportunità o freno allo spirito imprenditoriale?” dove si è discusso della riforma del diritto fallimentare messa in campo dal Governo (Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza» – A.C. 3671, attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera. Nel corso del dibattito ho avuto modo di illustrare i contenuti della mia proposta di legge n. 3609 recante Modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, in materia di diritti del fallito nella procedura fallimentare, che dovrebbe essere abbinata all’esame del decreto legge governativo.

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Già con il decreto legge n. 83 del 2015 il Governo intervenne in questa legislatura in materia di procedure concorsuali nell’ottica di riforma dell’intero settore. Con questo provvedimento interviene in maniera sistematica attraverso un disegno di legge delega per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, che è il frutto del lavoro della cosiddetta Commissione Rordorf, istituita con decreto del Ministro della giustizia 28 gennaio 2015, che ha terminato i sui lavori il 29 dicembre dello stesso anno.

L’esigenza di una riforma in questo settore nasce dalla necessità, avvertita da tempo dagli studiosi e dagli operatori del settore, di un approccio alle procedure concorsuali non più episodico ed emergenziale, bensì sistematico e organico, in modo da ricondurre a linearità un sistema divenuto nel tempo troppo farraginoso per le modifiche intervenute sulle originarie norme del 1942. Sono, inoltre, numerose le sollecitazioni per una complessiva revisione della disciplina delle procedure di insolvenza provenienti dall’Unione europea (raccomandazione n. 2014/135/UE della Commissione, del 12 marzo 2014; regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015) e dai princìpi della model law, elaborati in tema di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (Uncitral). A tali principi hanno aderito molti Paesi anche in ambito extraeuropeo (tra cui gli Stati Uniti d’America) ed il loro recepimento, in regime di reciprocità, consente il riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali emessi nei rispettivi Paesi.

E’ divenuto necessario definire in modo non equivoco alcune nozioni fondamentali, a cominciare da quelle di «crisi» (che non equivale all’insolvenza in atto, ma implica un pericolo di futura insolvenza) e di «insolvenza». Questo ragionamento ha anche una ricaduta terminologica, in quanto sul piano definitorio «si propone di abbandonare la pur tradizionale espressione di «fallimento» (e quelle da essa derivate), in conformità a una tendenza già manifestatasi nei principali ordinamenti europei di civil law (tra cui quelli di Francia, Germania e Spagna), volta a evitare l’aura di negatività e di discredito, anche personale, che storicamente a quella parola si accompagna; negatività e discredito non necessariamente giustificati dal mero fatto che un’attività d’impresa, cui sempre inerisce un corrispondente rischio, abbia avuto un esito sfortunato. Anche un diverso approccio lessicale può quindi meglio esprimere una nuova cultura del superamento dell’insolvenza, vista come evenienza fisiologica nel ciclo vitale di un’impresa, da prevenire ed eventualmente regolare nel modo migliore, ma non da esorcizzare. Naturalmente la prospettata modifica terminologica dovrà comportare corrispondenti modifiche anche nelle varie disposizioni che oggi fanno riferimento al fallimento (o termini derivati), comprese quelle penali per assicurare la continuità della pretesa punitiva in presenza delle medesime condotte illecite».

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Oltre a mettere al centro i concetti di gestione della crisi e dell’insolvenza, eliminando la parola fallimento, il disegno di legge di riforma del diritto fallimentare prevede, tra l’altro, di: · semplificare le regole processuali con la riduzione delle incertezze interpretative e applicative che molto nuocciono alla celerità delle procedure concorsuali; · inserire norme specifiche per la revisione delle amministrazioni straordinarie, per l’innalzamento delle soglie per l’accesso alla procedura e per la scelta dei commissari da un apposito albo, il tutto allo scopo di contemperare la continuità produttiva e occupazionale delle imprese con la tutela dei creditori. Che esista un nesso – e anche importante – tra la Giustizia e la determinazione ad avviare e/o mantenere attività imprenditoriali nel nostro Paese è infatti fuor di dubbio: come diversi studi e ricerche hanno ampiamente dimostrato, infatti, per gli investitori i tempi lunghi e l’esito incerto delle sentenze – insieme, per esempio, alla burocrazia – ricoprono un ruolo di primo piano nell’allontanare dall’Italia risorse e iniziative imprenditoriali in grado invece di mantenere dinamica e florida la nostra economia.

I principali profili innovativi del disegno di legge di riforma delle procedure concorsuali appaiono i seguenti: nel generale quadro di favore per gli strumenti di composizione stragiudiziale della crisi, viene introdotta una fase preventiva di “allerta”, finalizzata all’emersione precoce della crisi d’impresa e ad una sua risoluzione assistita;

  • la facilitazione, nello stesso quadro, all’accesso ai piani attestati risanamento e agli accordi di ristrutturazione dei debiti;

  • la semplificazione delle regole processuali con la riduzione delle incertezze interpretative, anche di natura giurisprudenziale, che nuocciono alla celerità delle procedure concorsuali; in caso di sbocco giudiziario della crisi è prevista, in particolare, l’unicità della procedura destinata all’esame di tutte le situazioni di crisi e di insolvenza; dopo una prima fase comune, la procedura potrà, seconda i diversi casi, evolvere nella procedura conservativa o in quella liquidatoria;

  • la revisione della disciplina dei privilegi – ritenuta ormai obsoleta – che, tra le maggiori novità, prevede un sistema di garanzie mobiliari non possessorie;

  • l’individuazione del tribunale competente in relazione alle dimensioni e tipologia delle procedure concorsuali; in particolare, le procedure di maggiori dimensioni sono assegnate al tribunale delle imprese (a livello di distretto di corte d’appello);

  • l’eliminazione della procedura fallimentare e la sua sostituzione con quella di liquidazione giudiziale; tale strumento vede, in particolare, il curatore come dominus della procedura e, come possibile sbocco (in caso di afflusso di nuove risorse), anche un concordato di natura liquidatoria;

  • una rivisitazione, sulla base delle prassi verificate e delle criticità emerse, della normativa sul concordato preventivo, lo strumento ritenuto più funzionale tra quelli concorsuali attualmente vigenti;

  • la sostanziale eliminazione come procedura concorsuale, della liquidazione coatta amministrativa, che residua unicamente come possibile sbocco dei procedimenti amministrativi volti all’accertamento e alla sanzione delle gravi irregolarità gestionali dell’impresa;

  • la previsione di una esdebitazione di diritto (non dichiarata, quindi, dal giudice) per le insolvenze di minori dimensioni;

  • le modifiche alla normativa sulle crisi da sovraindebitamento, sia per coordinarla con la riforma in essere che per tenere conto dell’esperienza maturata dall’introduzione di tale istituto con la legge n. 3 del 2012;

  • le nuove norme per la revisione delle amministrazioni straordinarie (leggi Prodi e Marzano), finalizzate a contemperare la continuità produttiva e occupazionale delle imprese con la tutela dei creditori;

  • l’introduzione di una specifica disciplina della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese, che va a colmare una lacuna dell’attuale legge fallimentare.

La mia proposta di legge vuole porre l’accento su due figure cruciali della procedura concorsuale di fallimento: il curatore fallimentare e il fallito. Si vuole infatti riconoscere al fallito il diritto a essere informato sull’andamento della procedura fallimentare in cui è coinvolto, nel limite di eventuali limitazioni motivate dal giudice, ma anche la possibilità di prendere visione nonché di entrare in possesso di documentazione non coperta da segreto. Inoltre si intende introdurre un principio di maggiore chiarezza e trasparenza nel processo di nomina del curatore fallimentare, dal momento che il nuovo ruolo del curatore risulta essere preminente nell’ambito della procedura concorsuale, agendo sia nell’interesse dei creditori che nella gestione del patrimonio del fallito. Pertanto diviene importante rafforzare e definire i criteri di nomina del curatore fallimentare nonché precisare quali siano i diritti di informazione del fallito rispetto all’azione del curatore stesso. Principale obiettivo del curatore deve essere quello di soddisfare i creditori, ma anche di non depauperare, per quanto possibile, il patrimonio del fallito.

DSC_0672Secondo l’AIBE Index 2015 – l’indagine sull’attrattività del Sistema-Italia realizzata in collaborazione con il Censis – l’Italia, grazie all’intensa attività riformatrice del Governo, sta aumentando la sua capacità di attrazione di investimenti esteri. Restano comunque forti alcune aree critiche, individuate soprattutto nei tempi troppo lunghi della giustizia civile (promossa appena dal 2,6% degli intervistati), nella farraginosità delle procedure normative e burocratiche (ritenute non disincentivanti appena dal 2,6%), quindi nel carico fiscale (conveniente solo per il 5,3%). La riforma del diritto fallimentare in questo senso dovrebbe tendere a superare queste debolezze del Sistema-Paese, andando incontro alle esigenze degli investitori esteri, che paiono concentrarsi prevalentemente sul funzionamento della macchina pubblica e sulle diseconomie procedurali. Dalla ricerca, infatti, emerge che il nostro Paese è in grado di rispondere solo parzialmente alle richieste delle imprese che investono in Italia: per il 74% degli intervistati infatti, i fattori prioritari su cui l’Italia dovrebbe intervenire per migliorare la capacità di attrarre investimenti sono la normativa e la burocrazia, per il 61,5% il carico fiscale, per il 44% i tempi della giustizia civile. Sulla base di queste considerazioni appare evidente che il cammino intrapreso da questa riforma sia quello giusto.

La Raccomandazione della Commissione europea n. 2014/135/UE, del 12 marzo 2014 su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza.

L’intervento della Commissione muove da alcuni dati statistici: nell’Unione europea ogni anno dichiarano insolvenza circa 200.000 imprese (un quarto di queste insolvenze presenta un elemento transfrontaliero) e, come conseguenza, 1,7 milioni di persone perdono il lavoro. Inoltre, i dati europei dimostrano che gli imprenditori che falliscono imparano dai loro errori e hanno in genere più successo la seconda volta: il 18% di quanti proseguono l’attività con successo hanno fallito al loro primo tentativo.

L’obiettivo della Raccomandazione è dunque quello di privilegiare, anziché la liquidazione, la ristrutturazione precoce delle imprese in difficoltà, così da prevenirne l’insolvenza.

Inoltre, l’intento della Commissione è anche quello di consentire una seconda chance agli imprenditori onesti che falliscano alla prima esperienza imprenditoriale, consentendogli di riprovare, agevolando un nuovo inizio.

La raccomandazione dunque invita gli Stati membri a:

- agevolare la ristrutturazione delle imprese in difficoltà finanziarie in una fase precoce, prima dell’avvio della procedura formale d’insolvenza, e senza procedure lunghe o costose, per aiutarle a limitare il ricorso alla liquidazione;

- consentire ai debitori di ristrutturare l’impresa senza dover avviare un’azione formale in giudizio;

- dare alle imprese in difficoltà finanziarie la possibilità di chiedere la sospensione temporanea fino a quattro mesi (rinnovabile fino a un massimo di 12 mesi) per adottare un piano di ristrutturazione prima che i creditori possano avviare misure di esecuzione nei loro confronti;

- facilitare il processo di adozione di un piano di ristrutturazione, tenendo presenti gli interessi di debitori e creditori, al fine di accrescere le possibilità di salvare le imprese sane;

- ridurre gli effetti negativi del fallimento sulle possibilità future degli imprenditori di avviare un’impresa, in particolare prevedendo la liberazione dai debiti entro tre anni al massimo.

Proposta di legge sul fallimento

Il testo di riforma del Governo

Il dossier di approfondimento della Camera

Report Amway 2015 – Italia

Abstarct AGER 2015

AGER 2015 – Roma 20 maggio 2016


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