Diritto di cittadinanza un’opportunità per tutti

Diritto di cittadinanza un’opportunità per tutti

L’integrazione degli immigrati e dei loro figli occupa un posto di rilievo nell’agenda, sia economica, sia sociale, del nostro Paese e dell’intera Unione Europea. Una partecipazione attiva degli immigrati e dei loro figli al mercato del lavoro e, più in generale, alla vita sociale è una condizione imprescindibile per garantire la coesione sociale del paese di accoglienza e per renderli cittadini autonomi e capaci di intraprendere un reale percorso di integrazione.
 Pertanto quando si parla di cittadinanza, non è all’emergenza dell’attuale ondata di arrivi che bisogna guardare, ma a quella comunità di stranieri, residente legalmente in Italia da tanto tempo, che nel nostro Paese ha deciso di lavorare, vivere, crescere una famiglia, integrandosi nella nostra società.
La nuova legge sulla cittadinanza è rivolta ai figli di questi immigrati, nati e cresciuti in Italia, italiani a tutti gli effetti, tranne che formalmente. Si tratta quindi di una riforma importante per l’Italia e per moltissimi bambini che punta sul radicamento della famiglia e del minore nel nostro Paese.
Oggetto della discussione parlamentare non è tanto l’accoglienza dei nuovi immigrati, quanto la necessità di offrire una opportunità di integrazione agli stranieri già presenti sul territorio e, in particolare, ai loro figli. Infatti, la presenza degli stranieri in Italia è sempre più significativa. In Italia, vivono circa cinque milioni di immigrati, un milione dei quali ha meno di diciotto anni e rappresenta il 22 per cento della popolazione minorile del Paese. Lo ius soli culturae, che è parte fondamentale di questa proposta di legge, crea un legame tra il conferimento della cittadinanza e l’obbligo di un percorso scolastico di cinque anni per chi è arrivato in Italia prima del compimento del 12esimo anno di età: questa norma valorizza il ruolo della scuola e l’importanza che essa ricopre per i minori. Da ormai 50 anni i minorenni stranieri arrivati in Italia con le loro famiglie sono entrati a far parte della scuola italiana: sono il 9% sul totale degli iscritti e questo dato evidenzia che ci troviamo di fronte a un fenomeno strutturale: una reale integrazione passa anche attraverso la condivisione degli stessi diritti oltre che della stessa esperienza scolastica.
Dopo l’approvazione alla Camera dello scorso mese di ottobre, il testo della riforma è attualmente all’esame dell’altro del Senato, e poiché si tratta di un provvedimento molto atteso mi auguro che possa diventare presto Legge dello Stato.  
La riforma delle norme sulla cittadinanza può anche essere il punto di partenza per superare tutta una serie di pregiudizi che gravitano intorno al fenomeno dell’immigrazione e/o dell’acquisizione della cittadinanza italiana e per capire la necessità di un più forte patto di convivenza fra vecchi e nuovi cittadini:
1) La ricchezza prodotta dagli occupati stranieri si aggira intorno a 123 miliardi di euro, l’8,8% del Pil. Inoltre, mettendo sul piatto della bilancia le entrate (gettito fiscale e contributivo degli immigrati) e le uscite (sanità, scuola, servizi sociali, casa, giustizia, sicurezza e trasferimenti economici), il risultato è un saldo attivo di 3,9 miliardi per lo Stato. Infine, data la struttura demografica della popolazione straniera (più giovane rispetto a quella italiana), i lavoratori immigrati versano quasi il 5% dei contributi previdenziali complessivi, circa 10 miliardi di euro fondamentali per sostenere il sistema previdenziale italiano. Quindi la «immigrazione è buona per l’economia?» Sì, gli sforzi per integrare gli immigrati dovrebbero essere considerati non un costo ma un investimento, come scrive l’Ocse in uno studio del 2014. La Germania, ad esempio, per accogliere l’ondata di rifugiati siriani è pronta a spendere subito almeno 6 miliardi. Marcel Fratzscher, direttore del prestigioso istituto di ricerca Diw di Berlino spiega che «i rifugiati costeranno tra i 6 e i 10 miliardi di euro aggiuntivi per il bilancio tedesco, ma quello che ci aspettiamo è un effetto tra lo 0,2% e lo 0,3% in più di crescita economica già dal prossimo anno». In sostanza, a conti fatti, la Germania compenserebbe quello che ha speso (6-9 miliardi equivalgono a circa lo 0,2-0,3% del Pil tedesco) a condizione che avvenga rapidamente un’integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro, come dimostra quello che è accaduto negli ultimi anni durante i quali la Germania ha beneficiato della loro presenza». La cittadinanza è quindi anche uno strumento di crescita economica, perché è una scelta che favorisce la permanenza sul nostro territorio di un’importante parte della popolazione attiva, quella più vitale, intraprendente e istruita.
2) Gli occupati stranieri presenti in Italia sono oltre due milioni il 10,8% degli occupati totali, ma non fanno lo stesso lavoro degli italiani. L’occupazione straniera si concentra in pochi settori e professioni scarsamente qualificate (infatti tra i primi posti troviamo personale non qualificato ai servizi domestici, servizi di cura, operai edili). Gli immigrati non si possono permettere di rimanere inattivi, non hanno altri redditi o supporto familiare e avere un lavoro è indispensabile per il permesso di soggiorno. Il fatto che gli stranieri non fanno lo stesso lavoro degli italiani lo si riscontra anche nelle loro retribuzioni: mediamente dovrebbero lavorare 80 giorni in più per avere la stessa retribuzione degli italiani. Anche l’indagine sulla popolazione ha evidenziato questa peculiarità; si registra un’idea piuttosto condivisa che il sistema di inclusione degli stranieri nel mercato del lavoro italiano sia caratterizzato da disfunzionalità, ovvero che gli stranieri non guadagnino di meno perché meno preparati, ma solo perché troppo ghettizzati in professioni di scarso livello. Il modello di inclusione italiano, che favorisce l’occupazione degli immigrati in posizioni scarsamente qualificate, sta già mostrando i propri limiti: negli anni della crisi (tra il 2007 e il 2013) il tasso di occupazione degli stranieri è infatti sceso dal 67,1% al 58,1%, una contrazione superiore a quella registrata per gli italiani (dal 58,1% al 55,3%).
3) La permanenza in Italia migliora l’integrazione: tra gli immigrati che vivono in Italia da prima del 2001 il tasso di attività è pari al 75,9%, mentre tra gli stranieri arrivati in periodi successivi la percentuale tende progressivamente a scendere, fino ad arrivare al 60,5% tra chi ha fatto ingresso dopo il 2006. Una dinamica simile si registra per il tasso di occupazione, che passa dal 47,0% degli stranieri arrivati dopo il 2006 al 64,6% dei cittadini stranieri immigrati prima del 2001. Tanto maggiori sono gli anni vissuti in Italia, tanto migliori sembrano essere i risultati occupazionali degli stranieri, grazie alle maggiori competenze linguistiche e alla conoscenza dei meccanismi che regolano i sistemi locali di domanda e offerta di lavoro. Inoltre, per quanto riguarda le seconde generazioni, le scelte scolastiche indicano come possa essere più facile per le seconde generazioni avere una maggiore mobilità sociale. La cittadinanza alle seconde generazioni favorisce la coesione sociale, la lotta al razzismo, a fenomeni di discriminazione e di marginalizzazione a danno di un’importante parte della popolazione, quella dei minori stranieri, che oggi raggiunge l’8,2% della popolazione complessiva presente nel nostro Paese.
4) l’Italia è un paese a crescita demografica zero. E la crescita è pari a zero e non negativa grazie alla presenza degli stranieri e al contributo positivo che le donne straniere danno alla natalità. Ciononostante, anche questo dato è in calo e dimostra un’inversione di tendenza, tant’è che le famiglie straniere residenti risultano composte da 3,5 componenti. Il saldo nati vivi che oggi in Italia si registra è a un livello negativo mai raggiunto dopo il biennio 1917-1918, gli ultimi due anni della prima guerra mondiale. I flussi migratori riescono quindi a stento a compensare il calo demografico. Continua inoltre l’invecchiamento della popolazione italiana e la riduzione della popolazione con meno di 15 anni di età. Al 31 dicembre 2014 è pari al 13,8%, 2 punti decimali in meno rispetto al 2011. Anche la popolazione in età attiva (15-64 anni) prosegue la sua contrazione passando da un valore superiore al 65% nel 2011 al 64,5% nel 2014. Nel quadro del processo di invecchiamento risulta in aumento, come di consueto, la popolazione anziana (65 anni e oltre) che è pari al 21,7%, quasi un punto percentuale in più rispetto al 2011. Aumentano gli anziani e gli individui di età particolarmente elevata. I cosiddetti ”grandi vecchi” (80 anni e più) crescono ogni anno di un punto decimale, arrivando nel 2014 al 6,5% della popolazione. A fronte di tali dati, gli studiosi italiani di demografia, sottolineano la necessità di immigrazione per l’Italia per rinnovare una forza lavoro invecchiata e in declino e per contrastare se non la desertificazione, l’impoverimento della società. Dal punto di vista economico, ai fini della tenuta dei conti pubblici e dei sistemi pensionistici, anche il vice presidente della Banca centrale Europea Vitor Constancio, ha parlato di suicidio demografico collettivo, sostenendo che per invertire le tendenze demografiche non è più sufficiente promuovere le nascite. Bisogna farlo attraverso l’immigrazione.
5) ai test di lingua italiana necessari per ottenere il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (requisito per poter chiedere la cittadinanza per i figli nati in Italia) sono stati promossi 4 stranieri su 516. Sul fronte della frequenza scolastica delle cosiddette seconde generazioni, i dati confermano un ampio incremento nelle iscrizioni degli alunni stranieri che, nel periodo 2001/02- 2013/14, si sono quadruplicate (802.844 dell’a.s. 2013/2014, il 9% del totale). Nell’a.s. 2013/14 le cittadinanze più numerose si confermano quelle degli anni scolastici precedenti: gli alunni con cittadinanza romena rappresentano ancora il gruppo più numeroso nelle scuole italiane (154.621), seguiti dai giovani di origine albanese (107.847) e marocchina (101.176). A distanza troviamo il gruppo degli alunni di origine cinese (39.211) e filippina (24.839): quest’ultima provenienza per la prima volta si trova fra le prime cinque. Rispetto alle differenze di genere le alunne straniere sono 385.365 e corrispondono al 48% del totale degli alunni stranieri, una percentuale di poco inferiore a quella osservata tra gli italiani (48,3%). Gli studenti con cittadinanza non italiana ma nati nel nostro paese sono nell’a.s. 2013/14 415.283, corrispondenti al 51,7% degli alunni stranieri. Tra il 2007/08 e il 2013/14 si evidenzia una crescita esponenziale di nati in Italia nelle scuole secondarie in cui questi alunni si sono quasi triplicati (secondarie di primo grado) o più che triplicati (secondarie di secondo grado), raddoppiati nelle scuole primarie o quasi nelle scuole dell’infanzia Tra il 2012/13 e il 2013/14 gli alunni stranieri entrati per la prima volta nei diversi anni scolastici (neoentrati) è tornato a crescere (+7.989 soggetti). L’incremento è stato più rilevante nella scuola secondaria di secondo grado (+38,9%) e nelle primarie (+36,1%), seguite dalle secondarie di primo grado (+29,1%). Il recente aumento dei neoentrati nel sistema scolastico può essere collegato anche all’incremento significativo di minori stranieri non accompagnati (Msna) che ha interessato il nostro paese nel 2014. Secondo i dati rilevati dalla Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di integrazione (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), si tratta, al 31.12.2014, di una presenza di 10.536 minori – il più alto numero di presenze mai registrato in Italia: il 90,7% si colloca nella fascia di età 15-17 anni, il 94,5% è costituito da maschi. Le provenienze più numerose e superiori al migliaio sono relative a Egitto (2.455), Eritrea (1.303), Gambia (1.104), Somalia (1.097), Albania (1.043). In larga maggioranza si tratta di minori accolti nelle regioni del Sud (Sicilia, 43,9% del totale; Puglia il 10,4%; Calabria l’8%), ma anche in Lombardia (7,2%), Lazio (6,4%), Emilia Romagna (5%). Sul fronte delle traiettorie scolastiche degli alunni con cittadinanza non italiana i dati in serie storica mostrano dei miglioramenti, con un decremento degli alunni in ritardo in tutte le fasce d’età. Questo miglioramento è in gran parte spiegato dal consistente aumento degli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia, per i quali scompare l’effetto del ritardo in ingresso e si eliminano molte delle difficoltà connesse all’inserimento della prima generazione nel sistema scolastico italiano.


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